Andare in avanti. L’umanità in marcia verso un futuro di prosperità. Si assume l’oggi come punto di arrivo necessario dello ieri e quello di partenza per domani. Domani migliore del passato, necessariamente.

Questa idea è radicata così a fondo nella civilizzazione occidentale moderna che esiste una letteratura apposita per affermare questo verbo: la divulgazione scientifica. Chi divulga spesso non sa nulla, è però bravo a parlare e far sognare gli ascoltatori. Sognare a tal punto da scivolare nella presa per il culo…ma tralasciamo per il momento.
Il progresso misura quindi lo stato nell’istante t e lo compara con t-1 e, malgrado minimi locali, registra una curva in continua ascesa (talvolta può scendere un po’ ma vi diranno che è una cosa passeggera e che tutto andrà bene). Ma, cosa si misura? Beh, ovviamente dati misurabili: PIL, laureati l’anno, “dischi” (“““““musicali”””””) usciti, CO2 risparmiata, etc…la lista ci annoia…avete capito. Poi tutti questi dati vengono crunchati e ne esce quel grafico crescente che dicevamo prima.
Ne discende che andrà tutto bene, appunto.
Un cazzo.
Così come tante belle cose salgono (così come il costo della vita) c’è l’egual misura di cose che scendono ma sono meno quantificabili per cui non c’è un grafico scientifico a mostrarlo. E inoltre non è progressista quindi non val la pena trattarlo ma a noi piace invece rompere le palle e ne parliamo.
Avete mai pensato che quando un’azienda delocalizza la produzione sta sì aumentando il suo fatturato ma sta riducendo la manodopera nel paese nel quale è stata fondata (perché più costosa del paese dove sta delocalizzando). Avete mai pensato che esiste un flusso di conoscenza che viene trasferito dal paese iniziale a quello dove l’azienda delocalizza la produzione? Ovvero, facciamo un esempio, per non fare nomi, la FIAT: delocalizzazione in Polonia, Romania etc…prima c’erano operai specializzati in fare saldature, nel gestire la produzione in forni per cementare ingranaggi etc. Quando l’azienda delocalizza quella conoscenza svanisce nel tempo breve di mezza generazione. Il risultato sul lungo periodo è che ci sarà una emorragia di conoscenza dal paese di partenza. Se poi, aprendo una parentesi, quell’azienda delocalizza anche la sede fiscale…beh è chiaro: la multinazionale vive di vita propria e usa i dipendenti per arricchirsi ma a questo punto il benessere della materia umana conta solo nell’ottica dell’aumento del profitto.
Quello che sta succedendo oggi è proprio una emorragia di conoscenza. L’Europa si sta riempiendo di aziende di servizi che non producono nulla di concreto e reale ma fanno finta di progettare e assemblare cose che sono fatte da altri (per avere un’idea si legga la Achille e la Tartaruga burocratica, Stortitelling e Opzione mancanza dell’opzione). Presto non saremo neanche più in grado di progettare (figuriamoci un pensiero strategico!!!)…perché, per quanto l’Agenda 4.0 voglia digitalizzare tutto, la conoscenza è prima di tutto esperienza pratica: una mano che plasma, che scrive su carta, un pensiero che sa estrarre il modello dal movimento di un grave. Senza una solida pratica l’astrazione diventa un puro esercizio burocratico fine a se stesso. Il pensiero astratto è la maturazione della conoscenza pratica precedente (del proprio pensiero o di generazioni passate).
Pensate all’origine della geometria nel mondo greco.
A noi piace vedere il progresso non come una quantità da misurare bensì una qualità indicativa della saggezza di una civiltà. Quando la conoscenza diminuisce non noi possiamo dire che ci sia un progresso sebbene il PIL possa anche crescere: se tutti vivessimo per andare allo stadio e il PIL fosse misurato come l’affluenza, lo stato (nel regime consumistico capitalista attuale) si interesserebbe di massimizzarne l’affluenza ogni anno di più. Non importa quanto stupido sia lo spettacolo, l’importante è massimizzare!
Questo è sprogresso ed è quello che sta accadendo in occidente. Tradotto in termini più sboroni, siamo una società profit driven: la quale spiana tutto ciò che si mette davanti a quel rullo compressore appiattente formato dai dati misurabili di cui accennavamo prima. L’uso unilaterale e la fretta del futuro sottraggono il tempo della riflessione e superficializzano ogni problema nel tipico slogan problem –> solution. Immaginatevi se artisti rinascimentali avessero ragionato così, non ci sarebbe stata nessuna arte rinascimentale. E infatti che arte c’è oggi? Scarabocchi di dementi genderfluid, questo è il risultato. Grande progresso! Ma quest’arte la vendono!, quest’anno più di quello precedente! Progresso! Ma noi non compriamo un cazzo comunque. Siamo all’alba di un Collasso della civilizzazione occidentale, probabilmente il punto di non ritorno è già stato superato. Non è facile individuare quel punto, la mole di dati è enorme e comunque non conosciamo con esattezza il risultato finale (soprattutto l’evolvere in funzione del tempo). Gli storici del futuro lo potranno confermare e, forse, meglio definire. Così come “Roma non è stata costruita in un giorno” allo stesso modo si può dire che Roma non è collassata in un giorno. L’inerzia del sistema è un parametro decisivo e come tale non modificabile se non con un grande sforzo di energie. Ci chiediamo cosa e come potrebbero deviare la traiettoria. L’unica cosa che ci viene in mente è abbandonare il consumismo capitalista e proporre un pensiero pratico ed etico volto alla conservazione e alla creazione di nuova conoscenza senza passare per il verme termodinamico della burocrazia. È un appello all’arte dell’unione dell’utile con l’armonioso, alla valorizzazione del tempo in quanto istante irripetibile, al tendere ai Canoni assoluti di bellezza.